L’8 marzo ricorre la Giornata internazionale della donna, che ha lo scopo di richiamare l’attenzione sulle conquiste delle donne e sulla lotta per l’uguaglianza di genere. In un mondo ideale, non dovrebbe essere necessario sensibilizzare l’opinione pubblica. Nella realtà, invece, le donne devono battersi contro pregiudizi insiti nella nostra cultura che, inevitabilmente, producono discriminazioni che vanno combattute.

Nella scienza, le donne ottengono meno promozioni e riconoscimenti rispetto agli uomini. Inoltre, molestie, aggressioni ed emarginazione allontanano dalla ricerca giovani donne promettenti, soprattutto quelle che per razza, etnia, disabilità o orientamento sessuale sono bersaglio di discriminazione. Per fare sentire benvenute le persone colpite dai vari tipi di discriminazione, erano nati i programmi noti come DEI per Diversity, Equity, Inclusion. Nel panorama delle agenzie federali americane, la NASA si era distinta per la sua attenzione al problema. Diciamo che partiva da una situazione abbastanza estrema dal momento che negli anni ’60, nel mezzo della corsa alla Luna, tutti i suoi astronauti erano uomini bianchi.
Chiedere agli aspiranti astronauti di essere dei piloti militari escludeva di fatto le donne che non avevano accesso alla carriera militare. La situazione era cambiata nel 1978 quando era stata istituita la figura di specialista di missione per la quale era richiesta una preparazione scientifica. Così era stata selezionata Sally Ride, la prima astronauta americana a volare sullo Shuttle.
Clicca qui per registrarti gratuitamente all’evento Unstoppable Women di Bari del prossimo 18 marzo
L’attenzione alla presenza della donne, insieme a quella di membri di etnie ben rappresentate nella popolazione americana, quali persone di colore, latini e nativi americani, è andata aumentando negli anni come testimonia la crescita della diversità nel corpo degli astronauti e, più in generale, nel personale della NASA che, negli anni ’60, era tutto formato da uomini bianchi. A partire dal 2013, la NASA ha selezionato un ugual numero di uomini e donne per il suo corpo astronauti. Tra loro c’era il Colonnello Nicole Aunapu Mann, prima astronauta della tribù Wailacki che è parte della Round Valley Indian Tribes Federation nella California del Nord. Nel 2020 la classe degli astronauti della generazione Artemis era formata da 7 uomini e 6 donne.

La presenza femminile è aumentata anche nelle sale di controllo dove si sono registrate molte storie di successo come quella di Diana Trujillo, diventata Flight Directori di Perseverance nonostante una storia difficile iniziata entrando negli USA come immigrata illegale.

L’attenzione ai valori dell’inclusione è testimoniata dal fatto che era diventato obbligatorio includere un piano per l’implementazione di iniziative DEI nelle proposte di ricerche presentate all’Agenzia. Nel 2020, l’amministratore della NASA Jim Bridenstine nominato dal Presidente Trump, aveva fatto aggiungere la parola Inclusion tra i valori fondanti della NASA.
Per questo è davvero incredibile assistere al ricorso storico che sta avvenendo a seguito dell’ordine esecutivo del presidente Donald Trump che cancella tutte le attività ed i finanziamenti riconducibili alla Diversity-Equity-Inclusion. Tutto il personale della NASA ha ricevuto un memo firmato dalla Acting Administrator Janet Pedro dove viene ordinato di cessare ogni attività collegata alla promozione delle diversità, equità e inclusione per evitare lo sperpero di denaro pubblico. Poco importa che la stessa Petro, quando era direttore del Kennedy Space Center, fosse stata una convinta supporter dei programma di inclusione.
Le biografie delle impiegate NASA che avuto vinto battaglie contro la discriminazione e dovevano servire da ispirazione e modello per le studentesse sono state oscurate e non risultano più accessibili sui siti web della NASA. Il fatto che l’Agenzia si fosse sempre impegnata nel fare “affermative action” non ha alcuna importanza, non si scherza con gli ordini esecutivi. Chissà se farà la stessa fine anche la promessa, fatta da Trump nel suo primo mandato, di portare la prima donna sulla Luna, uno dei punti cardine della missione Artemis.

Aiutare i membri delle minoranze è diventato “shameful discrimination” nel senso che si ricorda loro che appartengono a minoranze. Un amica che lavora alla NASA mi ha confermato che stanno facendo passare al setaccio tutti i progetti già finanziati alla ricerca di quelli che trattano argomenti riconducibili al DEI. Tutto quello che ha anche un solo vago sospetto di diversità e inclusione viene cancellato dalla nuova amministrazione che ha appena licenziato Lisa Franchetti e Linda Fagan due signore con il rango di ammiraglio a 4 stelle, che erano a capo della guardia costiera e della marina americana, perché promuovevano politiche inclusive.
L’acronimo DEI è diventato uno spauracchio e la scure governativa si è abbattuta su tutte le agenzie federali cancellando ricerche che si proponevano di studiare come il genere influenzi le cure mediche, oppure quali iniziative prendere perché studenti di diverse etnie e di diverse classi sociali possano avere migliori possibilità di accedere ai percorsi di studio che poi determineranno il loro futuro. Tutte le grandi università che, negli anni, avevano messo a punto dei programmi per aiutare gli studenti che avevano più difficoltà ad essere ammessi perché non prevenivano da grandi scuole, hanno dovuto affrettarsi a cancellare la parola inclusione dai loro siti web, perché dire che si vogliono aiutare gli studenti (e le studentesse) di colore secondo la nuova amministrazione acuisce le differenze razziali piuttosto che mitigarle.
Ovviamente il problema non è confinato alle agenzie governative. Tutte le grandi società avevano programmi per migliorare la diversità, l’equità e l’inclusione dei quali andavano fiere anche se, sicuramente, non erano senza prezzo. Purtroppo, per timore di avere problemi con i contratti governativi, molte li hanno cancellati.
Per fortuna, però, qualcuno resiste. Gli azionisti della Apple, per esempio, hanno votato a grandissima maggioranza di mantenere le iniziative di inclusione alle quali forse verrà cambiato nome, giusto per salvare le apparenze.