Ci sono storie che, in direzione ostinata e contraria, cambiano tutto: pregiudizi, stereotipi di genere e discriminazioni insopportabili, pesanti come i secoli che le hanno generate. Una di queste è la storia di Luisa Torsi, professoressa di Chimica Analitica all’Università di Bari, pioniera nella ricerca sulla diagnostica medica e prima docente della sua disciplina a entrare nell’Accademia dei Lincei. Nel 2010 è stata la prima donna al mondo a vincere il Premio Heinrich Emanuel Merck per i suoi studi sui sensori chimici e biologici. Tra i riconoscimenti più prestigiosi figurano il Distinguished Women Award (IUPAC, 2019) e la Wilhelm Exner Medal (2021) per il suo contributo innovativo alla bioelettronica organica e ai sensori avanzati.
Torsi è anche presidente dell’Arti, l’Agenzia regionale per la Tecnologia, il Trasferimento Tecnologico e l’Innovazione. Con la riforma approvata a novembre, l’agenzia ha ampliato il suo raggio d’azione, diventando un punto di riferimento per lo sviluppo economico, la formazione e il trasferimento tecnologico, con l’obiettivo di trasformare la ricerca in impresa in Puglia.
Ad Unstoppable Women, il 18 marzo a Bari, porterà la sua esperienza con un messaggio chiaro: non possiamo permetterci di sprecare il talento delle donne. È fondamentale che diventino role model e contribuiscano a ripensare il modello familiare tradizionale, superando l’idea stereotipata della donna relegata alla cura della casa e dei figli, in attesa del ritorno del marito dal lavoro.
È il momento di dire basta: il posto delle donne è ovunque, esattamente come quello degli uomini. In famiglia, nelle aziende, nei ruoli apicali della società e delle professioni, la presenza femminile deve essere equilibrata e riconosciuta. L’uguaglianza non è una concessione, ma un valore imprescindibile per il progresso di tutti e per un corretto utilizzo delle risorse pubbliche, considerando che lo Stato investe nella formazione di uomini e donne allo stesso modo.
Unstoppable Women è organizzato in collaborazione con l’Università di Bari, ARTI Puglia e con il Patrocinio della Regione Puglia. Il main partner è Intesa Sanpaolo, mentre il radio partner è Radio 105. Tra i partner figurano Women Lead, Sprintx, TheQube, Donne 4.0, ARTI Puglia, Associazione Pugliesi e CityModa.
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I profili più richiesti in Puglia
A propositi di tecnologie, innovazioni e professioni, l’Università di Bari (UniBa), in collaborazione con EY e Accenture, ha presentato un report sui 65 profili professionali più richiesti dal mercato, con focus sulla Puglia. Lo studio, basato su interviste a 37 imprese locali e analisi di big data tramite IA, evidenzia che il 48,69% della domanda nazionale riguarda i 19 settori analizzati. Tra le figure più ricercate: sviluppatore software, project manager, ingegnere meccanico, esperto in IA e innovation manager.
Il 15% dei profili nazionali coincide con quelli pugliesi. Il 58% delle competenze analizzate è già ben coperto dall’offerta UniBa, mentre il 42% presenta margini di miglioramento, soprattutto in certificazioni, standard ISO e soft skill. Il progetto prevede aggiornamenti dei corsi di studio e nuove collaborazioni con aziende per allineare l’offerta formativa alle esigenze del mercato. Il 18 marzo a Bari con la professoressa Torsi, parleremo anche di questi aspetti, in quanto Arti si occupa anche di formazione.
Professoressa Torsi, cosa pensa delle discriminazioni delle donne nella società e nel lavoro?
Inizialmente, sottovalutavo il problema perché, personalmente, non mi sono mai sentita discriminata. Poi ho iniziato a osservare i dati e ho capito la reale portata della questione. Le discriminazioni di genere sono sistemiche e trasversali a tutti i settori della società civile: si riscontrano negli stessi numeri nell’accademia, nella pubblica amministrazione, nella magistratura e nel settore privato.
Non vede cambiamenti significativi?
La struttura di base, di fatto, è rimasta pressoché invariata negli ultimi vent’anni. Il nodo centrale è che le donne sono ancora ampiamente escluse dalle posizioni apicali, e questo ha due conseguenze principali. La prima è la mancanza di role model femminili: quando le giovani donne vedono board composti prevalentemente da uomini, tendono a scoraggiarsi e a credere di non poter raggiungere quei livelli. Il nostro comportamento è fortemente influenzato da ciò che osserviamo: se non vediamo donne in ruoli decisionali, è meno probabile che ci immaginiamo in quelle posizioni.
Le seconda?
La seconda conseguenza è che l’approccio e la visione femminile della realtà faticano a emergere, con il risultato che il processo decisionale rimane fortemente sbilanciato. Ma c’è un terzo aspetto, forse il più importante…
Quale?
Riguarda tutti, uomini e donne: lo spreco di talento. Se nei board dirigenziali le donne sono solo il 20%, significa che c’è un 30% di talenti femminili che rimane escluso. Questo rappresenta una perdita netta di risorse e denaro pubblico, perché investiamo nella formazione di uomini e donne allo stesso modo, ma poi non garantiamo loro le stesse opportunità di accesso ai ruoli di leadership.
Perché parteciperà ad Unstoppable Women?
Eventi come Unstoppable Women sono fondamentali per dare empowerment non solo alle donne, ma anche agli uomini. Se le ragazze vedono limitate le loro possibilità di carriera e di esprimere pienamente i propri talenti, anche i padri vengono privati della possibilità di vivere appieno la genitorialità.

Cosa suggerisce alle giovani donne?
Non è scritto da nessuna parte che il ruolo di genitore debba essere delegato esclusivamente alla madre. Il modello tradizionale di famiglia, ispirato a stereotipi ormai superati come quello del “Mulino Bianco”, va ripensato in chiave più equilibrata. Alle ragazze dico: scegliete il partner giusto, con lucidità. La compatibilità nei valori e nelle prospettive di vita deve essere il criterio principale nella scelta di una relazione. Smettiamo di cercare partner che ci facciano sentire indispensabili solo per garantirci un senso di sicurezza. Quello che serve è un rapporto paritario, basato sull’equilibrio tra due persone risolte e consapevoli.
Parliamo di un tema attinente al suo ruolo in Arti: il trasferimento tecnologico in Italia. Qual è il suo giudizio?
Purtroppo, il nostro Paese si colloca agli ultimi posti tra le nazioni occidentali. In alcune aree del mondo, come la Silicon Valley o Israele, i requisiti e gli investimenti sono decisamente più favorevoli all’innovazione e al trasferimento tecnologico. Sappiamo che il passaggio da un Technology Readiness Level 5 (tecnologia convalidata in un ambiente industrialmente rilevante) a un Level 8 (sistema completo e qualificato) è particolarmente critico e presenta un tasso di fallimento molto elevato. La maggior parte delle tecnologie, persino quelle più dirompenti, tende a bloccarsi in questa fase, senza mai arrivare all’applicazione e alla commercializzazione. Tuttavia, questo non deve essere un motivo per limitare la ricerca di base.
Le innovazioni più brillanti hanno come protagonisti i giovani talenti. Cosa pensa della cosiddetta “fuga dei cervelli” italiani?
Il tema della “fuga dei cervelli” è spesso dibattuto, ma personalmente non amo questa definizione. È indubbio che il nostro territorio – sia al Nord che, in misura ancora maggiore, al Sud – stia perdendo giovani talenti. Tuttavia, è fondamentale riconoscere che un giovane ha tutto il diritto di sentirsi non solo cittadino europeo, ma cittadino del mondo. Deve potersi sentire libero di scegliere dove lavorare, in base a dove ritiene che i suoi talenti possano essere meglio valorizzati. Questa è una libertà assoluta, che va rispettata.
Quindi non crede sia un problema?
Il problema non è la “fuga” in sé, ma quanto il nostro Paese sia attrattivo per i talenti. Se i giovani della Puglia vanno a lavorare in Svizzera, in Germania, in California o a Singapore, va benissimo. Ma quanto siamo capaci, noi, di attrarre talenti da altre aree, ad esempio dal Mediterraneo?
Come intende intervenire?
Qui entra in gioco lo sforzo della politica. Il mio ruolo non è strettamente politico, ma si colloca comunque in continuità con le strategie territoriali. Il nostro obiettivo è chiaro: vogliamo creare percorsi strutturati che, almeno inizialmente, si basino su buone pratiche in grado di fare la differenza. Serve un’analisi approfondita dei casi di successo, individuando le migliori tecnologie e innovazioni scientifiche sviluppate nei laboratori pubblici e privati del nostro territorio.
Quali sono le principali difficoltà nel creare un ecosistema per supportare l’innovazione?
Una delle criticità principali riguarda l’eterogeneità del contesto: non esiste una soluzione unica per tutti, poiché ogni settore ha le proprie regole e specificità. È quindi necessario studiare un sistema flessibile, capace di adattarsi alle diverse esigenze, costruendo percorsi su misura per ciascun ambito tecnologico. Il nostro obiettivo è supportare chi sviluppa innovazioni, traghettando le loro idee verso la fase competitiva.
Sembra semplice…
A parole potrebbe sembrare un processo lineare, ma in realtà si tratta di un percorso estremamente complesso e delicato. Richiede il coinvolgimento di molteplici attori: dalla politica al settore pubblico e privato, fino agli investitori e ai venture capitalist interessati a sostenere le nuove tecnologie. È una sfida ambiziosa, ma essenziale per costruire un ecosistema capace di trattenere e attrarre talenti.
Quali sono gli ambiti di ricerca sui quali la Puglia dovrebbe spingere?
La Puglia ha già individuato con chiarezza gli ambiti strategici su cui investire per costruire un futuro più innovativo e competitivo. La Strategia Regionale di Specializzazione Intelligente traccia le direttrici principali di sviluppo, evidenziando settori chiave che possono fare la differenza. Uno dei pilastri fondamentali è l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione, strumenti essenziali per accompagnare la transizione digitale, un processo ormai irreversibile e cruciale per l’economia e la società. Un altro ambito strategico è la transizione energetica, con un focus particolare sulle energie rinnovabili, indispensabili per garantire uno sviluppo sostenibile e ridurre l’impatto ambientale.
Le principali innovazioni nel settore biomedicale?
Grande attenzione è riservata anche al settore biomedicale, che sta vivendo un’importante evoluzione grazie all’integrazione delle nuove tecnologie. L’obiettivo è trasformare la ricerca in soluzioni concrete, rendendo le innovazioni accessibili ai professionisti sanitari e migliorando strumenti di diagnosi precoce e cure avanzate. Questi settori non sono compartimenti stagni, ma parti di un ecosistema complesso e dinamico, in cui ricerca, impresa e investimenti pubblici devono dialogare per valorizzare le competenze locali e posizionare la Puglia come un hub di innovazione nel panorama nazionale e internazionale.