Nel grande scontro tra tutela della privacy e sostenibilità dei modelli digitali, la Commissione Europea ha deciso: 200 milioni di euro di multa a Meta per la sua pratica del “pay or consent”. Una sanzione legittima, coerente con il GDPR e il Digital Markets Act. Ma è anche una scelta pericolosa. Perché se il principio è giusto, la sua applicazione rischia di minare le fondamenta economiche dell’intero ecosistema digitale europeo.

La libertà del consenso
In Europa, la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale. Nessuno dovrebbe essere costretto a cedere i propri dati per accedere a un servizio digitale. È una battaglia che condivido, e a cui ho personalmente dedicato anni di impegno e divulgazione.
L’idea alla base del GDPR è chiara: il consenso deve essere libero, informato, specifico. E non può essere vincolato alla fruizione di un servizio essenziale, se esistono alternative praticabili.
L’aut aut di Meta: o paghi o acconsenti
Meta ha introdotto una modalità che propone un’alternativa: usare gratuitamente la piattaforma in cambio dell’uso dei propri dati per la pubblicità personalizzata, oppure pagare un abbonamento per accedere senza profilazione. La Commissione ha ritenuto questa opzione non conforme, sulla base del principio che il consenso ottenuto in questo modo non sarebbe pienamente libero.
Ma questa decisione, pur coerente con la lettera del GDPR, è scollegata dalla realtà economica delle piattaforme digitali. E questo è il vero punto critico.
Il nodo economico
Il modello economico di Internet si fonda, da sempre, su un equilibrio fragile: servizi gratuiti sostenuti dalla pubblicità. Ma non tutta la pubblicità è uguale. C’è un abisso tra la pubblicità generica e quella personalizzata: quest’ultima vale anche dieci, cento volte di più.
Eliminare o limitare severamente la pubblicità personalizzata significa, di fatto, tagliare le gambe alla sostenibilità economica di molte piattaforme. Non solo di Meta, ma anche – e soprattutto – delle startup europee, delle testate giornalistiche, dei servizi innovativi che tentano di emergere in un contesto già dominato da colossi globali.

La vera posta in gioco
Non possiamo permetterci una regolamentazione che funziona solo per chi ha le spalle larghe. Se l’unico modo per offrire un servizio sostenibile è profilare gli utenti, ma questo viene vietato, allora il mercato digitale diventa praticabile solo da chi può permettersi di perdere soldi – cioè le Big Tech. Il paradosso? Una regolamentazione nata per contenere i giganti finisce per rafforzarli.
Se vogliamo un’Europa che innovi, che attragga investimenti, che crei alternative europee a Meta o Google, dobbiamo renderci conto che certe battaglie ideali, se portate avanti senza ancoraggio alla realtà economica, rischiano di fare più danni che benefici.
Tra diritto e sostenibilità
Il principio che ispira la multa a Meta è corretto. Ma la sua applicazione rigida, senza una riflessione sul contesto e sulla sostenibilità economica, è pericolosa. Non possiamo costruire un’Europa digitale senza considerare le regole del gioco del mercato. E non possiamo ignorare che la pubblicità personalizzata è oggi l’unico modello che rende possibile l’accesso gratuito a molti servizi online.
Serve una riflessione seria, non ideologica, su come conciliare il diritto alla privacy con la sostenibilità dell’ecosistema digitale. Altrimenti, ci sveglieremo tra qualche anno in un’Europa più povera, meno innovativa – e paradossalmente più dipendente dalle piattaforme che oggi vogliamo regolare.