«Avevo voglia di fare qualcosa di sensato nella mia vita. E in questo mi ha aiutato mia moglie. Non vedevo l’ora di dimostrare a mio padre e a mia madre che non è così difficile crescere un figlio. Dopo che è nato Tommaso mi son detto che non avevo mai fornito alibi ai miei genitori. Così, andasse come andasse, io volevo esserci per lui». Francesco Cannadoro, 42 anni, è nato a Torino ed è padre di un bambino di 10 anni affetto da una malattia rara ancora non diagnosticata.
Partito con un blog e su Facebook, ha iniziato a raccontare la storia della propria famiglia, presentata anche in vari libri come Due come noi tre. Ma per raccontare la sua, di storia, nella Giornata internazionale delle persone con disabilità partiamo da quanto ci ha detto.
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Francesco Cannadoro e il racconto della disabilità
«Sono cresciuto nelle comunità alloggio per minori. I miei genitori non erano persone cattive, ma avevano le lancette delle priorità tarate male. A 20 anni, a Torino, non vedevo grossi sbocchi, e in più stavo iniziando a commettere qualche sbaglio. Mi sono trasferito così a Milano, da mio padre, ma poi ho deciso di partire per i villaggi turistici. Sono stato sei anni in giro per il mondo. Ero all’hotel di Sharm el-Sheikh Ghazala Gardens nel 2005, quando c’è stato l’attentato. Una delle esperienze più provanti della mia vita».
Rientrato in Italia nel 2010 è passato da un lavoretto all’altro. «Ero partito che non ero abbastanza per nessun lavoro e son tornato che ero troppo». Durante gli anni della crisi economica ha comunque continuato a desiderare (e costruirsi) una vita diversa rispetto a quella da cui proveniva. La nascita del figlio Tommaso, nel 2014, gli ha cambiato l’esistenza come solo simili eventi sanno fare.
«Mano a mano che cresceva, però, ho iniziato a notare alcune cose. Da genitore non bisognerebbe fare i paragoni con gli altri bambini, ma io l’ho fatto». Fino a quando un pediatra non gli ha suggerito di fare ulteriori visite. «Tommaso non ha una diagnosi, la sua condizione non ha un nome specifico. Rientra nell’ambito delle malattie rare». Come ci ha spiegato Cannadoro, «Tommaso invece di assumere nuove competenze le perde. È una condizione neurodegenerativa».
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Come per molte altre storie legate alla disabilità e alla malattia, il web e i social hanno svolto anche per lui e la sua famiglia non tanto una valvola di sfogo o una piazza dove gridare all’ingiustizia, ma uno spazio di opportunità e incontri per sentirsi meno soli e creare una community. «Sono partito da un blog, Diario di un padre fortunato, nome che mi era venuto in mente all’epoca, ma che sto cercando di togliermi di dosso perché in realtà non sopporto la retorica. Ci siamo sempre raccontati con leggerezza. In cambio si riceve a volte una pacca sulla spalla, ma quando a fartela è una persona che conosce il tuo problema ha un effetto diverso».
La forza della community
Per migliorare la vita di Tommaso lui e la moglie hanno deciso di trasferirsi a Cattolica, per respirare aria di mare. «La divulgazione sulla disabilità è diventata il mio lavoro». Quella di care giver è la condizione che lo accomuna alla moglie, sulla quale però ha speso una parola in più. «Prima era responsabile di vari negozi su Milano, ma ha dovuto mollare tutto. Non ha un riconoscimento, non matura la pensione e non può cercarsi un lavoro retribuito. Tra 20 anni, quando avrà 55 anni anni e Tommi potrebbe non esserci più, sarà fuori dal mondo del lavoro e difficilmente assumibile».
A distanza di tempo, con oltre 100mila follower su Instagram e una community, Cannadoro sta cercando di cambiare il nome alla propria pagina su Instagram. «Diario di un padre fortunato era nato per altri motivi, ora sto cercando di risolvere con Meta perché avendo la spunta blu non posso cambiare banalmente il nome. La stretta divulgazione l’ho portata sui profili personali».
Nel suo impegno a parlare di tematiche che riguardano la quotidianità di molte famiglie c’è anche la voglia di far conoscere una parte d’Italia non sempre raccontata. «Il motivo per cui negli anni siamo cresciuti è anche perché abbiamo imparato molto. Si tratta di un mutuo aiuto». Rispetto infine al rapporto minori e social Cannadoro ha sviluppato un proprio pensiero, frutto di anni di lavoro online. «L’importante è il tipo di esposizione. Mio figlio non è mai esposto in situazioni di turbamento, sofferenza o estrema privacy. Questo non significa che momenti complessi non ci siano. Se avessi voluto like facili avrei potuto pubblicare contenuti legati alla sofferenza».