Fare in modo che il lavoro in carcere possa davvero essere “un ponte tra il mondo fuori e dentro, uno strumento riabilitativo concreto, un luogo dove le persone possano mettersi alla prova prima di tornare in società”. Con questo obiettivo vent’anni fa, all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, ha preso vita il progetto Pasticceria Giotto, un laboratorio artigianale che è anche un progetto sociale. Quella che nel 2005 era una scommessa oggi è una realtà, che quotidianamente sforna dolci con il rigore che l’alta pasticceria impone.
Pasticceria, confezionamento e logistica
Finora quasi 300 detenuti sono stati guidati in questo percorso formativo e professionalizzante a 360 gradi, passando da un piccolo gruppo iniziale, composto da quattro persone, al numero attuale composto da 50 detenuti, più 5 maestri pasticceri e altri professionisti.
Il laboratorio di pasticceria è affiancato anche dal reparto di confezionamento e di logistica, dove i prodotti vengono impacchettati e preparati per la spedizione, con un’attenzione anche alla sostenibilità. Per le confezioni sono state selezionate carte di varia natura a basso impatto ambientale, certificate FSC, provenienti quindi da foreste gestite in modo corretto e responsabile, ma anche riciclate ed ecologiche, realizzate con sottoprodotti di lavorazioni agro-industriali, per ridurre l’utilizzo di cellulosa proveniente da albero.

I maestri pasticcieri al fianco dei detenuti
I prodotti della pasticceria Giotto possono essere acquistati in tre negozi a Padova e in diversi punti vendita, sparsi in varie regioni d’Italia, oppure nello shop online, per poi riceverli direttamente a casa: si va dai grandi classici, come crostate, panettoni e plumcake, ai dolci tradizionali padovani, creati per festeggiare Sant’Antonio, patrono della città veneta, dalla cioccolateria al gelato, passando per grissini e biscotti salati in vari gusti, come zafferano o cacio e pepe.
Il lavoro comincia ogni giorno alle 4 di mattina, quando vengono infornate le prime brioche, per poi fermarsi nel pomeriggio, intorno alle 17.
“A rendere possibile il percorso è anche il prezioso ruolo dei maestri pasticceri e degli altri professionisti, che prestano quotidianamente la loro attività in carcere. I team di lavoro sono seguiti da uno specifico ufficio, che collabora attivamente con l’istituto penitenziario per la selezione e la formazione dei detenuti”, spiega Matteo Marchetto, presidente della cooperativa sociale Work Crossing, realtà che dal 1991 opera nel settore della ristorazione. “Abbiamo iniziato a lavorare nel carcere di Padova nel 2003, con un progetto pilota del Ministero della Giustizia, sulla gestione delle cucine. Da lì, poi, è nata la sfida di avviare una pasticceria di alto livello, che fosse un’impresa a tutti gli effetti”.

Il lavoro in carcere un valore costituzionale
Alla base del progetto ci sono alcune premesse fondamentali presenti nella Costituzione Italiana, all’art. 27: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
In linea con questi principi, l’idea è quella di dare ai detenuti un’opportunità di rinascita, che possa trasformarsi in un nuovo percorso di vita per il futuro. “L’aspetto più importante ed emozionante è vedere le persone che cambiano – sottolinea Marchetto -. Io lo definisco un miracolo, perché non è semplice riuscire a preparare prodotti di pasticceria di così elevata qualità all’interno di un carcere, con tutte le difficoltà che ci sono, dai problemi tecnici al turnover delle persone, ognuna delle quali ha una storia difficile alle spalle”.
Gli effetti positivi del lavoro in carcere
“Crediamo profondamente che l’individuo non sia definito solo dal suo errore – prosegue Marchetto – e che il lavoro possa far emergere risorse personali, rimaste fino a quel momento sopite, diventando anche uno strumento di conoscenza di sé, oltre che di crescita professionale. In quest’ottica, quando facciamo i colloqui di lavoro con i detenuti da assumere, che oggi sono una cinquantina, cerchiamo di capire se c’è la giusta determinazione per intraprendere questo tipo di cammino e per cogliere questa possibilità di costruirsi un futuro. Abbiamo avuto casi molto positivi di persone che, una volta terminato il loro percorso, sono rimaste a lavoro per noi, mentre qualcun altro si è aperto una sua pasticceria”.
Studi di settore rivelano come il lavoro in carcere abbia molteplici effetti positivi per i detenuti stessi, per l’istituto penitenziario e per la società nel complesso. “Il lavoro funge da normalizzatore delle tensioni, rompe la routine fisica e mentale, alimenta una visione positiva del domani, dà uno stipendio da gestire e aiuta a riallacciare rapporti familiari spesso interrotti”.
Tutto questo si traduce anche in “un risparmio di costi medici e disciplinari per il sistema e alimenta un processo virtuoso, che culmina nell’abbassamento del tasso di recidiva, ovvero la probabilità di tornare a delinquere dopo aver scontato la pena: la percentuale di recidiva reale per i detenuti in regime di pena ordinaria varia tra il 70% e il 90%, mentre per i detenuti con un percorso lavorativo vero scende fino a essere compresa tra il 2% e il 20%”.