«Quel che è mancato all’ecosistema è senz’altro la capacità di avere una dotazione finanziaria, per investimenti adeguati. Senza capitali non riesci ad attrarre i talenti che servono. Sei sottodimensionato rispetto ai tuoi concorrenti internazionali. Bisogna fare molto anche sul tech transfer». L’Amministratore Delegato di Indaco Venture Partners SGR Davide Turco è da pochi giorni il nuovo presidente dell’Italian Tech Alliance, l’associazione del venture capital, degli investitori in innovazione e delle startup e PMI innovative. Subentrato a Giuseppe Donvito, lo abbiamo intervistato per farci spiegare gli obiettivi di ITA in un contesto internazionale sempre più competitivo, dove l’Italia non può ambire a far tutto, ma senz’altro a fare crescere le eccellenze nei comparti dove il Paese ha molto da offrire.
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Partiamo dalla nomina a presidente e dal ruolo di Italian Tech Alliance nell’ecosistema.
È un onore ricoprire questo ruolo. Italian Tech Alliance nasce come un laboratorio necessario per mettere insieme venture, innovazione e tecnologia. Abbiamo cominciato come venture capitalist e la scelta di allargare a startup, scaleup e business angel è stata vincente. Siamo partiti con l’obiettivo di essere una realtà giovane e dinamica. Il ruolo di presidente è in una logica di turnazione. Questo ha una valenza positiva: siamo persone concretamente attive sul mercato. Da Fausto Boni, poi Gianluca Dettori e Giuseppe Donvito. Prendo volentieri il testimone da loro. Credo che questo sia un momento di grandi opportunità.
Cosa serve al mondo startup in Italia nel 2025?
L’obiettivo di fondo è aiutare l’ecosistema a prendere la posizione che le spetta a livello internazionale. L’ecosistema oggi arriva dopo tanti anni di crescita, legati a investimenti fatti e a startup che sono partite. Ma quel che è mancato è la capacità di avere una dotazione finanziaria in linea con quella degli altri Paesi europei, una capacità di investimento adeguata. Senza capitali non riesci ad attrarre i talenti che servono: sei sottodimensionato in termini numerici rispetto ai tuoi concorrenti internazionali. Bisogna fare molto anche sul tech transfer.
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L’autunno scorso non è stato facile per le startup. Nella legge di Bilancio erano comparse le proposte – poi cancellate – di web tax e tassa sulle criptovalute.
Credo ci sia bisogno di un ruolo propulsivo dalla politica. È importante dialogare con chi fa le norme. Per promuovere il capitale per le startup. Veniamo senz’altro da un autunno complesso, ma guardando poi al risultato finale ci sono state novità positive. Penso al DDL Concorrenza e alla spinta fiscale al mondo pensionistico per gli investimenti nel Venture Capital. Questo è un grosso gap italiano.
Da mesi l’ecosistema startup parla molto della ricetta del Piano Draghi. Perché è così importante?
Ha fotografato con grande chiarezza l’urgenza per il sistema europeo di investire in innovazione e di essere meno dipendente da tecnologie di altri ecosistemi. Sostenibilità e competitività sono elementi che si coniugano. Ha poi riconosciuto che per tale sfida il ruolo delle startup è molto importante e così anche quello degli investitori. Italian Tech Alliance vuole fare da pungolo sul
tema in Europa. Più capitali, più velocità e flessibilità.
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Nelle ultime settimane si è parlato molto di AI, anche per via del caso DeepSeek. Una partita in cui Europa e Italia restano purtroppo spettatori.
È chiaro che l’Europa e l’Italia non sono leader in questa partita. DeepSeek apre comunque a opportunità. Non esiste solo un sistema vincente, ma ce ne sono diversi. C’è spazio per tanti approcci. In Italia abbiamo una capacità di calcolo importante grazie al CINECA. Ci stiamo muovendo. E meno male.
Quali sono dunque i comparti in cui l’Italia deve investire di più?
Come Indaco siamo presenti nel biotech. Registriamo nel mondo life science una grande vitalità con progetti di qualità. In generale poi nel settore del deeptech ci sono grandi aree di interesse, per esempio nella robotica e nella space technology. Tutti campi dove possiamo giocare un ruolo di rilievo.