«Purtroppo la Germania si è addormentata sugli allori. Non ha investito quando era necessario e ha fatto politiche sbagliate a livello economico. Si sono adagiati sulla Cina e sul gas russo. Ora penso che i tedeschi avranno di fronte dieci anni di riforme lacrime e sangue». Massimo Portincaso, 52 anni, vive a Berlino da molto tempo anche se ha deciso di stabilire la sede della sua startup, Arsenale Bioyards, a Pordenone in Friuli Venezia Giulia.
A quasi due settimane dal voto che in Germania ha registrato la vittoria di Merz, abbiamo incontrato un imprenditore che conosce quel Paese dagli anni Novanta, il periodo post Muro. «Ero nella Germania occidentale, quella del capitalismo renano. Oggi, però, siamo in una nuova era, neo industriale». Con la sua azienda, che ha da poco annunciato la chiusura di un round seed da 10 milioni di euro, punta sulla cosiddetta industria della natura. «Il bio manufacturing è sempre più parte delle considerazioni geopolitiche. È una delle cinque tecnologie definite core dall’Unione Europea». Ma questo nuovo viaggio alla scoperta degli Italiani dell’altro mondo ha tappe inaspettate prima di raggiungere il deeptech.

Berlino, nuovo millennio
Nato e cresciuto a Milano, Massimo Portincaso si è laureato al Politecnico in ingegneria gestionale. Sapendo l’inglese, da giovane ha voluto arricchire il proprio bagaglio e così ha deciso di proseguire gli studi in Germania. «Avevo iniziato a studiare tedesco mentre ero al liceo». Tra le sue prime esperienze lavorative, all’estero, è entrato come consulente in Boston Consulting Group.
A 27 anni ha però deciso di cambiare vita. «Credo di aver sempre avuto uno spirito imprenditoriale. Ecco perché nei primi anni Duemila ho aperto un ristorante a Berlino». Nel raccontarcelo non ha nascosto le autocritiche. «Ero un ventenne che usciva da BGC, con una spiccata arroganza intellettuale. Il locale è stata un’esperienza preziosa. Ho imparato tanto, a collaborare e a gestire le persone. Il ristorante è stato il mio master e il mio Phd».
In un contesto così diverso è emerso un elemento centrale nell’ecosistema startup: il valore delle persone. Vale in cucina e in sala, così come in un team. «Puoi avere la tecnologia più figa, ma senza le persone non vai lontano». Dopo quella parentesi formativa Massimo Portincaso è rientrato in Boston Consulting Group, dove complessivamente ha trascorso 20 anni della propria carriera.
Leggi anche: «Dopo l’AI ci sarà l’era della fusione. In Europa tutto quel che serve per costruire centrali»

«Il fuoco dell’ingegnere»
«Ho fatto marketing come ingegnere e sono diventato partner. A un certo punto ho incontrato il mondo del deeptech. Ricordo che mi si è riacceso il fuoco dell’ingegnere». Si è appassionato a tal punto da realizzare diversi report e a discutere di un argomento fondamentale per il futuro dell’Europa e in particolare dell’Italia. Il deeptech, tanto per intenderci, è uno degli ambiti del piano industriale di Cdp Venture Capital.
Il desiderio di lanciare un qualcosa di proprio lo ha spinto di nuovo a uscire da BCG. «Era il 2021 e per un po’ ho pensato di fare l’investitore. Poi ho lavorato a Officinae Bio, con cui abbiamo fatto una exit». L’avventura successiva si è focalizzata sul bio manufacturing. «Mi sono reso conto del potenziale della fermentazione di precisione. Alla fine preferivo chiedere soldi alla gente per fare cose».

La natura per fare industria
Il settore è tecnico ma interessante. Al momento ancora in fase di sviluppo con la necessità di abbassare i costi per una crescita sostenibile e sostenuta. «Si tratta di usare la natura per fare manifattura. Ci sono quattro esempi: la biomass fermantation, con cui si ottengono la birra e il pane; si possono far crescere le cellule come con la carne sintetica; c’è il molecular farming con cui vai a lavorare sulle piante che diventano bioreattori per produrre ad esempio vaccini».
E poi c’è la fermentazione di precisione, il quarto approccio del bio manufacturing. «Prendi organismi, ne modifichi il codice genetico inserendo la molecola che vuoi produrre e questo organismo produce la molecola. È una pratica che impieghiamo da 40 anni: l’insulina viene prodotta così. Vogliamo intervenire su tutto quello che ha un atomo di carbonio dentro». Piani ambiziosi, come ci ha spiegato Portincaso. «Con i nostri prodotti vogliamo creare una piattaforma abilitante. Puntiamo a diventare la TSMC della micro biologia. Colleghiamo i laboratori alla parte industriale e siamo agnostici sui prodotti».

All’Italia serve un arsenale
Ma perché c’è Arsenale nel nome della startup? «Ci siamo ispirati all’Arsenale di Venezia, quello che era il cantiere navale. La dominazione sui mari nasceva lì, l’esempio di industrializzazione più avanzato nella storia dell’umanità. Una nave nuova costruita ogni giorno». Fondata nel 2023, questa azienda deeptech ha un obiettivo non da poco. «Fare dell’Italia un leader nel mondo della manifattura. Vogliamo contribuire a ridisegnare la politica industriale del Paese».
Con sede a Pordenone e negli Stati Uniti, Arsenale Bioyards ha già una capacità produttiva. Ma all’azienda servono i talenti. «Spero a breve di riuscire a portare una persona da San Francisco a Pordenone. E dovrò attirarne molte di più in futuro. Le startup che non falliscono possono cambiare il corso di una nazione».