Qual è il percorso per diventare un venture capitalist? Come raccontiamo da anni sul magazine ogni storia ha seguito il proprio. Quello di Sara De Benedetti, classe 1994, di Torino, l’ha portata a diventare direttrice degli investimenti in Italia di Ring Capital, fondo francese che sta esplorando possibili operazioni nell’ecosistema italiano. Avendo studiato il francese fin da piccola grazie a una scelta lungimirante dei genitori, ha trovato un importante punto di contatto con la società d’Oltralpe. «Il fit culturale è stata la prima cosa che ci ha avvicinati». Su StartupItalia raccontiamo la sua storia in una nuova puntata della rubrica del lunedì, alla scoperta dei protagonisti degli investimenti e del panorama VC.

La voglia di lasciare un impatto
Sara De Benedetti non ha trovato subito il VC sulla propria strada. «Ho studiato economia e commercio a Torino, e poi ho fatto amministrazione e controllo aziendale». Un percorso classico, così ce l’ha raccontato. Tra le sue passioni iniziali quella più grande è stata per il diritto fallimentare. Dopo un esperienza in Erasmus a Friburgo, in Germania, è entrata in KPMG poco prima di laurearsi. «Ma non sarebbe stato il mio futuro. Le aziende su cui interveniamo erano grandi e molto strutturate, con prospettive non rosee. A me invece piaceva l’idea di poter avere un impatto diretto e positivo sulla crescita delle aziende».
Nel frattempo è spuntata l’opportunità di intervistare Luciano Balbo per la tesi. «Da lì è partito tutto. Gli ho fatto alcune domande scolastiche sull’impact investing. Lui l’ha impiantato di fatto in Italia. Alla fine mi ha suggerito che c’era la possibilità di uno stage. All’epoca ero ancora poco interessata alla finanza. Era il 2019». In Oltre Impact alla fine sarebbe rimasta fino al 2024. Appassionata del concetto di impatto le abbiamo chiesto anzitutto la sua definizione. «L’impact investing è la capacità di investire in soluzioni che portano ad un miglioramento sostenibile della qualità della vita delle persone. Sono operazioni che puntano a risolvere problemi sociali o ambientali primari».
Il nuovo lavoro l’ha messa a contatto con un ambiente più in linea con la propria attitudine al cambiamento. «Da subito mi ha dato una sensazione di grande libertà e creatività. Potevo fare tanto perché il foglio era bianco. Ho capito che nella finanza c’era uno strumento per generare impatto». Quello che ricorda con maggior trasporto? «Sono davvero molto legata a FABA (startup che abbiamo già raccontato sul magazine e che realizza giocattoli per i raccontastorie per bambini, ndr). Sono stata nel loro cda per quasi 3 anni. Non è scontato l’impatto di una società come quella, ma quando ti rendi conto che i piccoli sono esposti continuamente a schermi e dell’effetto che questi hanno sul loro sviluppo, ripensi a tutto».

Non è solo finanza
In questo momento storico parlare di impatto, sostenibilità, diritti e inclusione è senz’altro meno mainstream di un tempo. Con l’amministrazione Trump e le Big Tech che hanno reso carta straccia le politiche DEI un mestiere del genere significa lavorare controcorrente? «Parlarne oggi è senz’altro più difficile, ma non vuol dire che sia meno importante. L’impatto è una buzzword. E soprattutto sostenibilità non vuol dire impatto: si possono produrre armi in maniera green e non sarebbe comunque ad impatto».
Questa specializzazione l’ha condotta in Ring Capital. «È un gestore che ha cominciato nel 2017. Mi ha impressionato perché sono riusciti a ritagliarsi uno spazio in Francia. Parlano di impatto come vitalità». Il fondo investe in varie fasi delle aziende, dal seed al growth e in portfolio ne ha più di 40. «Da 18 mesi è partito un progetto di espansione geografica per coprire e supportare sempre più imprenditori a livello europeo».

Gli obiettivi di Ring Capital in Italia
Il taglio dei ticket su cui il team di Sara Benedetti è disposto a discutere non è da realtà early stage. «Stiamo dando forma alla società, siamo a Milano dove vogliamo anzitutto fare community. Vorrei fare investimenti tra i 10 e i 20 milioni in realtà growth con un EBITDA tra 1 e 15 milioni». Sempre più realtà VC si stanno affacciando al mercato italiano delle startup. Nella Francia da molti definita startup nation come opera un fondo? «La differenza rispetto a noi sta nella dinamicità e nella velocità con cui si fanno investimenti. Tutto gira a ritmi più alti. Tanti si concentrano sulla dimensione più estesa dell’ecosistema francese. Ma la cosa che mi ha colpito è che per chiudere un deal ci possono volere pochi mesi».
Come stiamo facendo su StartupItalia, il VC oggi deve confrontarsi sempre di più con l’ambito defense tech. Come si rapporta con questo verticale una investitrice che punta sul settore impact? «Storicamente molte delle innovazioni partite a livello militare hanno avuto un spillover civile positivo, basti pensare all’ambito medicale della medicina d’urgenza. A livello di ecosistema potrà avere un impatto positivo l’emergere di investimenti. Vanno calibrati molto bene e va definita una strategia di lungo periodo. Non di semplice reazione alle circostanze».